EL VIEJO

Cari amici avrebbe potuto essere un romanzo.
Ma è solo un esercizio.
Non mi piace scrivere qualcosa che rappresenti la negazione della gioia.
Ecco perché la malinconia degli scrittori è chiusa a chiave dentro di loro e quello che emerge è solo la voglia matta di andare "oltre".
Ecco l'esercizio.
Ve lo consegno per intero.
EL VIEJO di Antimo Ceparano
Avrei un desiderio.
Uno solo.
Poi più niente.
Dopo me ne andrei a sedere in un’urna e suonerei una campanella fino a che fossi vivo. Dopo niente!
Il dopo non mi riguarda più perché la materia è passata ed io non vesto più la carne.
Alla fine la campanella non suona più ed io ho smesso di sognare.
Rimane il desiderio da consumare ed è una storia nuova, di quelle che raccontano da bambini e che non dimentichi più.
Pena, non ritornare il bambino che eri e vedere attraverso la finestra il mondo dei grandi che continua a consumarti. Renato Funzetta era stanco di dormire culo a culo con Giacinta del Toma, moglie e madre esemplare, con l’unico vizio di russare di notte e di condividerlo con il proprio marito.
I tempi in cui i culi erano dall’altra parte e i nasi si toccavano e le bocche esercitavano la loro missione erotica erano passati da tempo.
Ora il sonno era l’occasione per dire basta alla gioventù e reclamare il proprio diritto ad invecchiare, pene e vagina compresi.
Il desiderio? Già, dimenticavo. In parole povere il desiderio non esiste perché a quasi settant’anni chiami desiderio tutto ciò che ti passa per la testa, almeno in certi momenti. Vedi puoi chiamare desiderio la voglia di girare sul motorino e sentire il calore delle tette poggiate sulle tue spalle, oppure mangiare una pizza arrotolata nella carta da giornale, come facevi una volta, oppure...oppure… oppure? Niente cazzo!
Perché appartieni al mondo desueto dei grandi, anzi dei vecchi e non puoi nemmeno parlare con i tuoi nipoti. Anzi! Ti guardano come se tu fossi l’eterno ammalato e domandano premurosi “ nonno, come ti senti?”. Avresti voglia di rispondere che non ti sei mai sentito meglio e allo stesso tempo non vuoi offenderli e rispondi “ non c’è male… grazie” . Tutti contenti e Giacinta si volta premurosa a guardarti perché è stanca e ha la merla addormentata da tempo. Tu, invece, di tanto in tanto hai momenti di risveglio dell’uccello e devi rimproverarlo. Sei costretto a dirgli “ stai buono, amico, sei vecchio e non puoi permetterti di resuscitare, anche perché Giacinta ha chiusa la saracinesca e non posso parcheggiarti da nessuna parte” . Allora l’uccello si offende e comincia a ritirarsi in buon ordine. In poco tempo è meno di un cerchio scomposto di pelle. Lo guardo e penso a Giacinta quando si gira a guardarmi e non capisce che si è vecchi quando si perde il gusto di giocare. E’ giorno. Inoltrato ma è giorno. Mi sono svegliato e Giacinta non c’è. E’ in cucina a inventare qualcosa che le possa fare dire che “ è stanca” e che “ non ce la fa più”. Intanto faccio fatica ad alzarmi perché non sono ancora “ el viejo” che vorrei, l’old man che non si rassegna alla tirannia del tempo. Io il tempo lo rifiuto perché non mi piace e guardo indietro per ritrovare il bambino che credeva di spostare il palazzo dov’era l’abitazione in cui abitava con le proprie forze e ci credeva! Era convinto di spostarlo veramente e Loredana non era ancora morta e giocava con lui. Forse avevano tre o quattro anni e giocavano fino al tramonto. Stavolta non mi alzo perché di fuori il mondo non mi piace e perché è troppo intelligente per uomini del passato. Garcia Federico Lorca non è invecchiato. Per lui non ci sarà mai chi lo chiamerà “el viejo”. Possono dire tante cose ma non che i franchisti sono stati buoni con lui. Lo hanno fucilato e hanno liberato le poesie di Federico. Le hanno rese orfane prima del tempo e Federico poteva scrivere molto. Molte altre cose, perché non era ancora “el viejo” e abbracciava le parole come una madre. Lui era un mabbo, una madre e un padre. L’avrei chiamato volentieri mabbo e poi mamma e poi babbo e forse lo è stato perché quando scrivo penso a Federico, al mio mabbo poetico. Fuori il Sole scaraventa la propria bellezza sul balcone che è nudo. Non ha fiori e s’allarga verso l’angolo del palazzo per mostrarmi un non luogo. L’autostrada Napoli Bari. Le auto sfrecciano come dannati in fuga dall’inferno e il Sole gioca con la mia vista per incitarmi a chiudere gli occhi. Lo accontento e per un attimo serro l’entrata verso il mondo e non vedo altro che il brillare della pelle, troppo vicina per mostrarsi quale essa è. Mi dico che vorrei ma non posso. Non posso rientrare in casa perché Giacinta lava il pavimento e ha il viso duro di chi “ non ce la fa più, perché è stanca” . Mi dico che non ha un padrone che la comanda e che la casa non è così sporca. Lei dice che la casa “ puzza” ed io cerco di cavarne l’odore nauseabondo ma non ci riesco. Non sento altro che il buon profumo del cibo cucinato la sera prima e che mi ha regalato un momento di piacere.